65: Senza padre

ritmo
Foto presa dal web

Pensieri, immagini e situazioni sono solo frutto della fantasia

Rimanevo sempre in macchina. Mio padre mi portava con lui a vedere le partite. Ma, non mi piacevano. Passavo ore dentro a una ritmo grigia. Lui si divertiva, io anche. Mi spiego: preferivo sicuramente giocare con gli altri bambini, ma non mi entusiasmava chiudermi tutto il pomeriggio in una stanza di un bar, tra vecchi ubriachi, che aspettavano un goal. Vecchi ubriachi che erano paonazzi in viso da mattina a sera.

Mio padre parcheggiava la macchina davanti a un bar-pasticceria quasi sempre pieno. E io stavo lì per ore. Fantasticavo sulla gente che passava.

C’era una mamma che sgridava la bimba disubbidiente, che si buttava a terra, perché avrebbe voluto una pasta al cioccolato. Ma, la signora malata di palestra le permetteva solo un biscotto di ciambella, quasi privo di calorie. La bimba piangeva, piangeva come un fiume senza un punto finale. E io avrei voluta consolarla e dirle: “Dai, che la prossima volta te la compro io una pasta con la crema al cioccolato!” Ma, io non avevo soldi.

Poi, c’erano una coppia di ragazzi. Ragazzi anonimi, come li definivo io. Ripetevano sempre gli stessi gesti. Le stesse espressioni. Arrivavano alle cinque in punto. Ed uscivano dalla pasticceria mano nella mano. Lei aveva nell’altra mano una busta portata da casa, dove riponeva l’unica pasta che acquistavano. Che dividevano con un coltello, portato anch’esso da casa, seduti su una panchina verde proprio vicino alla macchina. Lei, ogni volta, diceva: “Che buona!” E lui, come una macchina computerizzata le rispondeva: “Sì, e poi la crema è divina!”

Prima che lo dicesse, dalla mia bocca uscivano le stesse parole. Le sapevo a memoria. Erano parole di conforto, parole di sicurezza. Parole monotone, che rendevano stabile quell’equilibrio silenziosamente precario.

Poi, passava Gianna. Sapevo il suo nome grazie a un signore che una volta la chiamò. Gianna indossava sempre vestiti diversi. Questa cosa mi colpì. Io avevo due paia di pantaloni e tre maglie nella stagione invernale e un unico giubbino. Gianna invece cambiava sempre il suo cappotto e aveva tante scarpe colorate e tante scarpe nere con il tacco nero. Gianna non usciva mai con una pasta in mano. Forse la mangiava nel negozio, oppure preferiva una bevanda alcolica. Mentre, sola, fissava l’orologio, posto sopra le macchine del caffè. Mentre, sola, si concentrava su quelle lancette per non pensare alle riposte da dare al suo ragazzo, che non amava più.

Poi, quando mi stufavo di vedere le persone, mettevo la musica e sentivo “Come saprei” di Giorgia. Cantavo a squarciagola perché volevo scaricare la tensione che mi trasferivano la mamma con la bimba capricciosa, i ragazzi anonimi e Gianna. Perché se da un lato mi divertivo, dall’altro mi sentivo solo. Ero solo un bambino di dieci anni che passava i pomeriggi in una ritmo grigia.

Una ritmo che era diventata il mio osservatorio quasi giornaliero.

E anche se mi divertivo a vedere gente fuori che passava, immaginando la loro vita. Da dentro, invidiavo quelle loro realtà. Realtà imperfette sì, ma vissute nelle loro imperfezioni e autenticità. Vissute nel loro dinamismo.

Rimanevo sempre in macchina. E realmente questo non mi piaceva. Mio padre non se ne accorgeva, e questo mi faceva stare male. Perché a dieci anni, un bambino più di tanto non può dire.

Mio padre preferiva vedere partite con vecchi, paonazzi in viso da mattina a sera. Mentre suo figlio di dieci anni, lo voleva con sé in un bar-pasticceria, di fronte al quale c’era una ritmo grigia senza nessuno che osservava Gianna, ragazzi anonimi e una mamma con una bimba capricciosa.

Senza nessuno che cercava solo affetto.

Buona serata, Em@

9 pensieri su “65: Senza padre

  1. Credo che nessun bimbo meriti di trascorrere così il suo tempo. Però questa è la conferma della forza della fantasia,dell’immaginazione e della sensibilità che ci aiutano a vivere, a vivere una vita migliore, a diventare comunque quello che in fondo siamo stati da sempre.

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    1. Ciao simo! Concordo con te. Esistono realtà come questa e realtà simili. Credo che quando si mette al mondo un bambino si deve far di tutto per dargli delle figure. Figure che lo proteggono, gli danno affetto e lo considerano come persona. E non come oggetto. Un bacio. 😍

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      1. Sono pienamente della tua idea, da mamma poi, ancora di più. Troppe persone purtroppo fanno figli a caso. I figli non sono oggetti. Purtroppo questo per molti non è chiaro probabilmente. Ed è molto triste. Un bacio a te =)

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